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  • Immagine del redattoreSerena

La Ginestra


Da Villa Delle Ginestre, in quel piccolo paese vicino Napoli, è ancora possibile vederle: ne è rimasto solo qualche ceppo morto che ostinato stiracchia i rami bruni e tozzi sotto al sole di questo Marzo. Di lontano, l'azzurro del fianco dello sterminator vesevo si confonde con la tremolante linea del mare. La meridiana, qui sul terrazzo, segna mezzogiorno, proiettando un'ombra scura sul muro: rientro nelle stanze immerse in un silenzio profondissimo; Ne ho le ossa inumidite e pesanti, e incedono i miei passi verso la sua stanza, sicuri e poi sempre di meno, incerti si soffermano sull'uscio.

Nella camera c'è odore di carte vecchie e legno- quell'inconfondibile sentore d'epoca antica. Sta lì, l'amato mio maestro, chinato al tavolo accanto alla vetrata: ai miei occhi si offre di tre quarti, la luce polverosa gli scivola su quella schiena ingobbita contenuta appena nella sua tunica nera: dev'essere già anziano. Picchietto sulla porta, con una timidezza spaventevole.

“Giacomo, ho bisogno di voi.”

Si volta Leopardi, finalmente, le labbra pallide atteggiate a sorriso- e come pare naturale vedere il gaudio nei suoi tratti, sembra che da sempre la sua bocca nonabbia fatto che sorridere.

“Come sempre quando vi infastidisce qualche tedio. Voi sapete sempre dove trovarmi.”

E presa una seggiola che era lì, mi accomodo senza osare di guardarlo ancora; Giacomo ha un potere celato sotto le palpebre, che gli brilla nello sguardo: quegli occhietti d'un celeste acquoso incastonati troppo infondo a due orbite scheletriche sono pur sempre occhi d'una bellezza mai superata.

“Vedete” un tremolio pungente mi spezza la voce, bassa già per sua natura “ alle volte mi sento come la protagonista di un dramma sfiancato: la sola a vivere peripezie, io, unica, opposta al resto. Io sento di essere come Voi, Giacomo. Lo stesso sguardo sulle cose, la stessa percezione profonda; ho la pelle sottile, quel che è intorno mi colpisce d'un solo fendente mortale. E a me pare di conoscere nient' altro che un tremendo e continuo dolore. Vorrei essere inconsapevole ma almeno felice, per poco, ma felice.

Vedete? Non ridete adesso di me..”

Sul viso infatti gli era comparsa un'espressione ilare. Stava dritto presso la finestra e guardava oltre il vetro, le mani poggiate dietro la schiena.

No, dovevo aver sbagliato: non era molto più grande di me, ora che lo guardavo bene: lui poco più di vent'anni, io poco meno. Sì, così doveva essere. Eppure avevo la rincuorante sensazione che, nonostante fossimo quasi coetanei, egli avesse più di me almeno un secolo.

“C'è un bel sole oggi, nevvero?”

Intuisco i suoi occhi chiusi mentre si gode quel sole lontano. Annuisco in risposta.

“Vedi, che questa nostra esistenza sia..misera, misera...misera...io già te l'ho mostrato” si volta a soppesarmi con gli occhi, ora la voce gli vibra d'una profonda disperazione ma d'un tempo brucia d'amore fervente “E la natura a noi ha dato il peso d'un cuore tremendo: Io ho vissuto e tu vivi, in affanno.

Ma non negarti, tu non negarti quel piacere che ti da' questo raggio di sole, la speranza d'un amore, non negarti, com'io feci. Ama la vita che è nel tuo pensiero.”

E dice così, mentre la luce ne cancella i contorni e la voce si fa piano piano più fioca.

“Giacomo, attendente..ho ancora bisogno di voi.”

“Io ho vissuto” ripete. “Tu vivi.” e ora è avvolto nel bianco e l'ultimo eco è leggero e violento: Ama la vita che è nel tuo pensiero.

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