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  • Immagine del redattoreSerena

Scheletro nell'armadio

Buio. Qualche sagoma penzola da un'asta.

L'ultima seduta dallo psicoterapeuta non è andata granchè bene. Mi sono agitata sulla sedia in silenzio per cinque minuti buoni, con la sua matita che picchiava sulla gamba, in attesa. C'era uno specchio, nello studio, proprio davanti alla mia poltrona: e mi rendeva un'immagine dai colori sbiaditi, le tinte castane attenuate , gli occhi come enormi biglie di vetro, stanchi. L'inverno mi ha illividito, non lo nego: guardami qua, che sono diventata. Non era solo di un'estate fa quella foto in cui sembro vita incarnata? Dove dimostro i miei 18 anni, e forse qualcosa in meno? Si, dev'essere solo un anno fa.

Possiamo toglierlo quello specchio da lì, eh?”

Mi ha sorriso serafico lo strizzacervelli, manco ha risposto. Se n'è uscito due minuti dopo con il frasone a effetto “ Le cose vanno affrontate”, sì, e due con due è quattro.

E' normale che tu stia ancora male. Il tuo armadio è pieno di scheletri, Eres”

Scuoto la testa. “E allora facciamo che nell'armadio non ci entro, così è risolto.”

Ricordo di essermi alzata, col giacchettone rosso da neve che mi pesava addosso, di aver bonifichiato qualcosa sull'universalità degli scheletri dell'armadio, perchè insomma, chi vuoi che non ne abbia uno? Eppure, guarda qua: il mondo va che è una meraviglia. Ci è mai morto nessuno, di scheletri nell'armadio?

Bada, Eres, bada : così non vivi bene. Lo sai quanto i tuoi pensieri possano farsi neri.”

Quanto è passato da quel momento? Qualche mese, magari un anno. Ricordo che dev'esserci stata in mezzo una primavera, un'estate svogliata che non ho sentito. Non ho più visto il medico, perchè il posto degli scheletri è nell'armadio, non possono toccarci. Il passato è passato, è qualcosa che non esiste più. E qualcosa che non esiste non può toccarci. Ho voluto che la mia vita proseguisse slegata da quelle brutture del passato, un corso d'acqua che scorre solo ora, senza sorgente.

Mi sento soffocare qui, fa caldo. Nella penombra ancora le solite sagome. Socchiudo la porta, vengo fuori, devo sciacquarmi il viso: mi trascino come senza consistenza sino al lavello. Il gorgoglio dell'acqua, il vapore, lo specchio che si appanna. Ci passo una mano: la superficie mi restituisce un'immagine del mio viso fatto di ossa, delle mie orbite vuote, del cranio lucido.

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