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Immagine del redattoreSerena

Brancolare nel buio

Compiuto che ebbi 20 anni, il corridoio che avevo percorso durante l'infanzia e la prima giovinezza finì con una porta chiusa. Mia madre la schiuse: non una sola luce si vedeva dalla stanza.

“Io ho paura del buio.” dicevo, ma la paura del buio è dei bambini e non dovevo già più permettermela. “Puoi venire con me, mamma?”

Stette in silenzio e capii che non poteva. Cosa dovevo farci in una stanza buia? Perchè non potevo rimanere alla luce vivida delle fiaccole infantili che mi illuminavano le cose chiaramente, che mi permettevano di vedere il volto di mia madre con nitidezza? Entrai e la porta si richiuse alle mie spalle con un tonfo: il buio allora fu denso da parere materia.

Stetti per qualche tempo incollata alla porta, senza sentire altro che il battito furioso della mia paura.

“Mamma, sei ancora lì? Che dovrei fare?”

Intuii la presenza di mia madre dietro l'entrata, la immaginai con le mani poggiate sul legno, a tendere l'orecchio ad ogni mio movimento. “Perchè non fai il medico? E' un buon lavoro.”

Pensai alla stanza buia piena di lettini, me col camice bianco e non mi piacque. Mi ero portata dal corridoio un libro di bambina: lo avevo ancora nella destra; immaginai di scrivere libri come quello e mi piacque. Decisi, quindi, che se quella stanza sarebbe stata la mia vita, tanto valeva che io mi mettessi a cercare almeno una matita e un foglio bianco per scrivere un libro, proprio come quello. Mossi un passo nel buio, le mani in avanti a tastare l'aria. Avevo ancora paura, ma anche voglia di una matita: le cose sembravano compensarsi. Procedevo incerta e spesso mi fermavo finchè non sentii un respiro. Qualcuno nella stanza respirava oltre a me, ora rideva: era un suono dolcissimo, fatto con note d'oro. Ebbi paura di chi potesse essere e mi voltai dall'altra parte: sbattei così il naso contro qualcosa e al tatto mi parvero libri: tantissimi, tantissimi libri, di cui sfiorai il dorso con le mani, di cui riconobbi l'odore inequivocabile delle pagine. Cercai di contare toccandoli, ma quelli parevano essere troppi: e più mi rendevo conto del loro numero, più sentivo che quella camera buia acquisiva valore.

Un'altra risata...una luce? Mi voltai, due labbra sorridevano e brillavano di una luce calda, rivelando confusamente un viso d'uomo dai tratti delicati, due grandi occhi sornioni, allegri.

“Che ci fai nella mia stanza?” e mentre lo chiedevo, capivo di quanto fossi stata folle a chiederlo.

“Ti aiuto a cercare la matita.” così gli baciai le labbra, e ci mettemmo a cercare la matita assieme.

Sentii i passi di mia madre che si allontanavano dalla porta. Perchè andava via? Perchè la strappavano alla vita proprio ora? Fui triste: non l'avrei più rivista. Mia madre ora non era in nessuna stanza e in nessun corridoio.

Le ricerche andarono a rilento. E pure quando l'ebbi trovata,la matita che cercavo da una vita, assieme ad un foglio, le cose non andarono meglio per un po'. Ebbi paura di aver sbagliato poichè la stanza buia era solo una stanza buia con dei libri, una matita, un uomo e una donna di 30 anni. Cercai di ritornare alla porta, urlai il nome di mia madre, poi mi accasciai nel dolore, a quel buio perpetuo. Avevo sbagliato.

La sua mano mi porse ancora il mio foglio e mi disse scrivi sicchè era chiaro quella fosse la mia natura esplicita e ora la negavo per vigliaccheria.

Click. Un interruttore scattò, una luce pervase la stanza, facendomi piangere gli occhi.

“Hai acceso la luce?”

“No, sei stata tu.”

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